Spiagge: non distese di sabbia, ma ecosistemi a rischio
Da alcuni decenni la comunità scientifica internazionale ci avvisa del fatto che la pressione antropica sugli ambienti costieri, in tutto il mondo, è eccessiva: urbanizzazione diffusa, realizzazione di infrastrutture, trasformazione ad uso turistico e presenza umana di massa stanno riducendo, e in molti casi annullando, la funzionalità ecosistemica di queste aree. Una pressione che è cresciuta enormemente negli ultimi decenni. Il problema è che gli ambienti costieri, che si sviluppano in una fascia sottile, sono fondamentali perché costituiscono la frontiera con il mare: al pari della nostra sottilissima pelle che difende l'organismo dall'esterno, proteggono l'entroterra - che vive di acqua dolce e rifugge dall'acqua salata - dal mare.
Le spiagge sabbiose, in particolare, sono oggetto in tutto il mondo di uno sfruttamento capillare e in continua crescita per il turismo cui si associano fenomeni crescenti di erosione da parte del mare, accelerati dai cambiamenti climatici in atto: è un dato oggettivo, e ormai noto a tutti, che la maggior parte delle spiagge italiane, ad esempio, siano in arretramento. Non stupisce quindi che Defeo e coll* in una recente analisi a scala planetaria, per queste aree parlino di un vero e proprio prossimo collasso ecologico e, conseguentemente, socio-economico per le numerose popolazioni umane che vi vivono. Questi autori, al termine della loro lucida analisi, affermano: most people want a beach, but few recognize it as an ecosystem at risk (la maggior parte delle persone vuole una spiaggia, ma pochi riconoscono che sia un ecosistema a rischio).
La riprova di tutto questo la stiamo vivendo nuovamente in questi mesi, in cui, a tre anni di distanza dalla precedente edizione, si ripropone sulle spiagge italiane il JovaBeachParty (JBP). Basta soffermarci su alcune affermazioni fatte da soggetti coinvolti a vario titolo nell'organizzazione di questa serie di eventi per toccare con mano quanto siano distanti dalla reale percezione ecologica dell'ambiente su cui vanno ad agire.
*https://esajournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/fee.2406
1. Noi non distruggiamo nessun ecosistema
Ma le spiagge sono un ecosistema, un ecosistema molto dinamico che occupa una fascia di terreno sottile e mutevole!
Tutti noi sappiamo che basta spostarsi di pochi metri dalla riva del mare per essere più o meno esposti, ad esempio, al vento marino. È allora abbastanza intuitivo capire come mai gli ecosistemi dunali siano organizzati in fasce parallele alla riva, ognuna delle quali ospita organismi differenti, adattati a sostenere il differente livello di pressione esercitato da moto ondoso, vento, sole e sale. Si tratta degli unici organismi che riescono a vivere in un ambiente estremo e che non ritroviamo nell'entroterra, così come la maggior parte delle specie che vivono nell'entroterra, portate qui, non riescono a sopravvivere. Una caratteristica importante di questi ambienti è che detriti legnosi e piante riescono con il tempo a bloccare la sabbia, in maniera sempre più stabile man mano che ci si allontana dalla riva. È così che si formano le alte dune consolidate. Queste, per formarsi e mantenersi, hanno però bisogno anche delle fasce di vegetazione più semplice che le separano dal mare, proteggendole dalla sua azione diretta, e che vengono continuamente modificate dagli agenti naturali: la fascia della vegetazione pioniera, quella delle dune embrionali e quella delle dune mobili non sono abbozzi incompiuti di dune consolidate, ma rappresentano la risposta dinamica delle comunità viventi allo sferzare del vento e all'azione battente del mare, alla penuria di acqua dolce, all'abbondanza di sale e alla forza del sole.
Spianare queste aree e sottoporle ad un calpestio capillare è distruggere un ecosistema!
2. Gli eventi si svolgono su spiagge degradate e non su aree dunali importanti.
Le spiagge sabbiose risentono dell'azione umana in mille modi, dove più o dove meno. La scienza ci dice che la pressione cui sono sottoposte è ormai insostenibile; le località prescelte per il JBP sono tra le ultime che non sono state completamente trasformate. Questo ci deve spingere a tutelarle maggiormente, non a dare loro il colpo di grazia! Quando, per giustificare la scelta dei luoghi per i concerti, si afferma che sono state escluse aree dunali importanti, si citano alcune località dove permangono sì fasce di dune consolidate, ma in alcuni casi queste non sono protette più dalle fasce delle dune mobili ed embrionali, sacrificate dal passaggio annuale di mezzi che le spianano e le rimuovono e poi soggette al calpestio umano. Anche nel caso di molte località risparmiate dal JBP, quindi, si sta parlando di ecosistemi dunali degradati, in quanto mutilati delle fasce più vicine al mare.
Ecosistemi dunali vergini in Italia praticamente non esistono più, ma continuare ad accanirsi su quei pochi che provano a resistere è veramente una pratica folle. Dobbiamo cambiare in toto il nostro approccio verso questi ecosistemi per preservarne la funzionalità.
3. Noi portiamo gli ambienti a un livello più alto, migliore e maggiormente fruibile.
Ecco, qui si ribadisce e si esalta la totale assenza di comprensione del contesto ecologico in cui ci si muove!
Esiste solo un modo per migliorare queste spiagge ed è quello di favorire la ripresa degli ambienti naturali che ora vi sopravvivono con difficoltà: delimitare dei percorsi di attraversamento e lo spazio utilizzabile per la fruizione balneare. Se poi sulla spiaggia sono presenti dei rifiuti, si possono organizzare delle giornate di pulizia con un numero non eccessivo di persone per unità di superficie, che li rimuovano a mano. Il calpestio umano infatti è un problema importante per questi ambienti e quindi non solo è bene che le persone impegnate siano poche, ma bisogna ridurre l'impatto di questi interventi facendo in modo che siano svolti al di fuori del periodo di sviluppo delle piante e riproduttivo della fauna, fra cui, non ultimo, l'elusivo fratino. Spianare tutto e sottoporlo a calpestio senza limiti, quand'anche fossero rimossi tutti rifiuti presenti già da prima, sarà sempre un netto peggioramento della qualità ambientale.
4. Quella del Muraglione non è una spiaggia storica, non ci sono dune ma solo accumuli
Anche se noi cerchiamo di congelare l'assetto dei litorali con lungomare in cemento e altre infrastrutture, questi sono ambienti dinamici, che avanzano e - oggi sempre più spesso - arretrano. Nello specifico, tutto il litorale a nord del Serchio è in progressione da alcuni decenni perché il mare vi sta trasportando le enormi quantità di sabbia - un vero e proprio capitale - che nei secoli precedenti si era accumulato nelle dune di San Rossore. La loro demolizione da parte del mare va avanti da anni e questo capitale di sabbia, finora ridistribuito sui litorali immediatamente più a nord, tra non molto sarà stato speso interamente. Gli 'accumuli' che nonostante un forte calpestio si stanno formando sulla spiaggia del Muraglione e che, a differenza dei litorali in concessione presenti a Viareggio, non vengono spianati sono quindi il frutto della sapiente opera di "accantonamento" fatta dalla vegetazione naturale. Questa trattiene la sabbia formando dune embrionali e mobili, che negli anni darebbero origine anche alle dune consolidate, se noi non intervenissimo regolarmente a spianarle. Questi 'accumuli' rappresentano anche un'assicurazione sul futuro: quando le dune di San Rossore saranno completamente state mangiate dal mare, sarà sempre positivo il bilancio delle spiagge a nord del Serchio? Lo scopriremo, ma sicuramente oggi spianare e distruggere le dune che si stanno formando è una scelta davvero miope, considerando che questo ecosistema è fondamentale per proteggere l'entroterra, contrastando l'ingresso di acqua marina nella falda e ammortizzando l'effetto delle mareggiate più violente, che sempre più frequentemente colpiscono i nostri litorali.
Va infine ricordato, che proprio a causa della pressione cui sottoponiamo questi ambienti, molte specie vegetali e animali, così come le associazioni che formano, sono tutelate dalla normativa vigente, anche se localizzate al di fuori di aree protette e non in condizioni ottimali, come avviene proprio nel caso della spiaggia del Muraglione.
Ma il danno ambientale più grosso qual è? Al di là dell'oggettivo danneggiamento di alcune spiagge (in fondo nient'altro che l'ennesimo di una lunga serie, qualcuno potrebbe dire!), il messaggio che vi è associato distrugge in un attimo i pochi progressi ottenuti in maniera puntiforme lungo i nostri litorali, per una differente percezione delle spiagge, non più considerate come distese piatte di sabbia unicamente devolute allo sfruttamento turistico e destinate interamente a scopi ludici, ma ecosistemi complessi dove una fruizione sostenibile è possibile, purché si cambi approccio. Questo è il lavoro che, come COT, da anni stiamo cercando di portare avanti con enti e amministrazioni nel tentativo di dare un futuro alla popolazione toscana di fratino e agli ecosistemi dunali di cui esso è la bandiera. Ecco, tutto questo viene spazzato via dalla realizzazione di grandi eventi come il JBP, anche in forza di un'etichetta di sostenibilità ambientale e progressista, grazie ad alcuni accorgimenti nella gestione dell'evento. La stessa sostenibilità che si sarebbe potuta ottenere svolgendolo in strutture appositamente dedicate. Questo comportamento rafforza molti soggetti nell'idea malsana che sulle spiagge tutto sia possibile quando così non è. Estati sempre più lunghe e roventi, alternate a piogge e tempeste devastanti, stanno mettendo sempre più a rischio la nostra società: abbiamo bisogno di ecosistemi funzionali per rallentare i cambiamenti climatici e mitigarne gli effetti. I grandi eventi in contesti naturali o comunque in località che non siano state appositamente create a questo scopo, come spiagge o praterie montane contrapposte a stadi o altre strutture, sono quindi del tutto avulsi dalle attuali esigenze di conservazione ambientale, anche quando si vogliano ammantare di un'aura ecologista.
È però tempo di
avere un'altra consapevolezza del contesto in cui si va ad agire.
Most people want a beach, but few recognize it as an ecosystem at
risk.
Enrico Meschini e Luca Puglisi